domenica_dellortodossia.jpgE' la prima domenica della Grande Quaresima e si chiama così perchè vi si solenizza la festa della restituzione delle sacre immagini. In questo giorno si fa memoria del ripristino della dignità delle Icone e dell'onore che ad esse deve essere dato. Cioè vanno Venerate poichè solo Dio si Adora, ovvero si Adora il Cristo-Dio fattosi uomo rappresentato nelle icone. Quindi non le icone come oggetto creato.

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La vittoria dell'ortodossia sull'eresia iconoclasta (che negava anche la possibilità dell'esistenza delle immagini) avvenne in quello che la Storia chiama il VII Concilio Ecumenico, anche detto II Concilio di Nicea. In questo Concilio i Santi Padri non solo hanno condannato l'iconoclastia, ma hanno anche, ovviamente, confermato tutte le condanne delle varie dottrine eretiche affrontate nei precedenti Concilii Ecumenici e segnando la fine delle controversie teologiche e cristologiche.

L'11 marzo 843 ci fu la solenne liturgia di restaurazione in Santa Sofia in Costantinopoli e da allora si celebra la festa della Domenica dell’Ortodossia, prima domenica di Quaresima.

 

Un parere sull'iconoclastia. 

Si pubblica uno stralcio del testo della lezione che l'arcivescovo di Vienna, il cardinale Christoph Schönborn, ha tenuto al Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali che si è tenuto a Rocca di Papa dal 31 maggio al 2 giugno 2006. La traduzione è di Elia Rigolio per il quotidiano Il Foglio Sempre sul quotidiano Il foglio è disponibile una versione più completa.

 

Comincio la nostra meditazione volgendo lo sguardo alla festa dell'Ascensione, che abbiamo appena celebrato. Agli “uomini di Galilea”che non riescono a staccare lo sguardo dalla nube che nasconde Gesù nella sua ascesa, gli angeli dicono: “Questo Gesù, che è stato tra di voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cuil'avete visto andare in cielo” (At 1, 11). Oltre trent'anni fa inmerito a queste parole degli angeli annotavo nel mio libro “L'icona di Cristo”: “Questa promessa di ritorno dello stesso Gesù, allo stesso modo, questa promessa affida alla chiesa l'incarico di mantenere vivo il ricordo del suo santo volto, del volto di Colui il quale, da quel momento, intercede per noi presso il suo Padre e il nostro Padre.
Questa promessa la incita a professare la sua fede nella venuta ultima del Signore. Ebbene, l'icona è questa professione. E' la via intermedia, per così dire, tra l'incarnazione e l'escatologia, perché professa la verità di entrambe. Professando a un tempo l'identità di Gesù di Nazareth, il Verbo fatto carne, e quella del suo Signore, che tornerà a giudicare i vivi e i morti, l'icona trova la sua collocazione naturale nel cuore della professione di fede della chiesa. E' come un suo riassunto”. L'icona di Cristo: per molti cristiani, la tradizione orientale delle icone, dei metodi di pittura, della sua spiritualità, è diventata punto di unione e di incontro. L'icona è quasi onnipresente nella chiesa, orientale e occidentale. La sua lingua, la sua simbologia, il suo splendore sembrano davvero toccare i cuori di molti nostri contemporanei. Spesso ci siamo domandati perché, ai nostri giorni, l'arte delle icone abbia potuto acquisire questo status di espressione privilegiata della fede cristiana.
Può esserci un aspetto di “moda” (che alcuni ortodossi rimproverano ai cristiani dell'occidente, perché hanno l'impressione che la loro tradizione orientale venga “utilizzata” abusivamente dagli occidentali). Penso che ci sia qualcosa di più profondo. Il “sensus fidei” riconosce nella tradizione orientale delle icone una sorta di espressione “canonica” della nostra fede, un'espressione che va oltre le mode e i mutamenti culturali del linguaggio artistico cristiano. L'icona non è a-temporale, vive variazioni di stile, di scuole, di “colorazioni culturali”, non è statica e immobile, come spesso le è stato rimproverato. Ma qual è allora il segreto della sua attrattiva, quale è la chiave di comprensione del suo mistero, e quale la ragione della sua grande stabilità espressiva? Penso che la ragione ultima sia il mistero di Cristo stesso, Verbo fatto carne, Dio fatto uomo, divenuto “circoscrivibile”, come piace dire ai santi difensori delle immagini, san Teodoro Studita e san Niceforo. Al di là di tutte le influenze culturali, dei legami con le tradizioni iconografiche precristiane, delle variazioni artistiche, c'è una base comune, una sorgente unica dell'arte dell'icona: il mistero del santo volto di Gesù Cristo. C'è questo volto unico, c'è questo Gesù che gli apostoli hanno conosciuto, con cui hanno mangiato e bevuto, che hanno visto trasfigurato e schernito, raggiante di gloria divina sul monte Tabor e flagellato e incoronato di spine. E' questo volto unico, di Gesù, figlio di Maria, figlio di Dio, che si è scolpito nella memoria di Pietro. E' lo sguardo di colui che Pietro aveva appena rinnegato, e che lo guardava in un modo che nulla al mondo ha potuto cancellare dalla memoria e dal cuore di Pietro.
Questo Gesù è il fondamento dell'Icona, della sua fedeltà (di cui alcuni fanno una caratterizzazione, o meglio una caricatura, basata sull'immobilismo), della sua attrattiva immutata. L'icona attira perché è l'icona del Cristo. E' perché noi vogliamo vedere il Cristo, che l'icona ci parla. E' perché i fedeli (e spesso persino i non credenti) possono dire, guardando un'icona di Cristo: “E' Gesù!” che l'icona parla a loro. Non è tanto la qualità artistica, per quanto questa sia importante e mediazione per l'incontro con Cristo, non è quindi tanto l'altezza dell'opera d'arte che conta, ma la forza della presenza di Cristo stesso a essere importante nell'arte dell'icona. Non mi addentro qui nel dibattito sull'estetica delle icone, sull'aspetto propriamente artistico. Per questo ci sono ottimi e dotti studi.
Attiro la vostra attenzione su di un fatto stupefacente, che mi aveva colpito quando studiavo la letteratura dell'VIII e IX secolo sulla controversia iconoclasta, la grande lotta pro, o contro, le immagini sacre nel cristianesimo. In tutta la letteratura in merito, non ho trovato traccia di una disquisizione estetica. La questione della bellezza delle immagini sacre non ha praticamente alcuna importanza. Quantomeno, io non l'ho rilevata. (cfr il mio libro “L'icona di Cristo. Fondamenti teologici”, Paoline, Cinisello una prima spiegazione in “L'icona di Cristo”: “Questa assenza di considerazioni estetiche si spiega, ci sembra, col fatto che, da una parte e dall'altra, non si è mai trattato di mettere in dubbio la legittimità dell'arte in quanto tale. Il dibattito [sull'iconoclastia] si reggeva esclusivamente sull'estensione dell'arte al di là del campo profano, nel campo sacro”. Gli iconoclasti ammettevano l'arte, come l'islam, ma questa doveva limitarsi strettamente al campo profano. L'iconoclastia era, in un certo senso, una secolarizzazione radicale dell'arte, una desacralizzazione dell'attività artistica ridotta a puro ornamento, a decoro della vita profana. Ma dietro questo rifiuto di un qualsivoglia carattere sacro dell'arte, c'è qualcosa di più della secolarizzazione dell'attività artistica. C'è una certa concezione di quanto è “cristiano” e quindi di quanto è mistero di Cristo.
E' significativo, da questo punto di vista, constatare che tutto il dibattito per giustificare l'arte cristiana, le immagini sacre di Cristo e dei suoi santi, è ruotato intorno al mistero di Cristo. Sono rimasto colpito, studiando la controversia sulle immagini, dalla chiarezza con cui i difensori delle immagini hanno visto in questo dibattito non tanto una questione estetica, ma soprattutto cristologica. I padri del II consiglio di Nicea (787) ne erano ben coscienti. Per loro, affermare la legittimità dell'icona di Cristo significava apporre un sigillo sulla professione della sua divinità (Nicea I) e della sua umanità divina (Calcedonia). La chiesa ortodossa celebra la vittoria definitiva dei difensori delle immagini nell'843 in una celebrazione liturgica la prima domenica di Quaresima di ogni anno come il “trionfo dell'ortodossia”. L'icona di Cristo come riassunto della fede cristiana! Può sembrare esagerato. Guardando più da vicino non lo è per nulla.
Permettetemi di dire brevemente perché, e di farlo in due fasi. Alla fine dei miei studi sui fondamenti teologici dell'icona di Cristo, sono pervenuto a questa conclusione: “C'è una correlazione tra la visione del mistero divino-umano di Cristo e la concezione dell'arte. In realtà, l'incarnazione non ha solo trasformato la conoscenza di Dio, ha anche modificato lo sguardo dell'uomo sul mondo, su se stesso e sulle sue attività nel mondo. Da allora, l'attività creativa degli artisti non poteva non essere toccata, trasformata dall'attrattiva del mistero dell'incarnazione. Se Cristo è venuto per rinnovare l'uomo tutto, per ricrearlo secondo questa immagine di cui lui stesso era modello, non era forse necessario che lo sguardo, la sensibilità, la creatività degli artisti venissero, essistessi, ricreati a immagine di colui “per mezzo di cui tutto è stato creato”? Visto alla luce di questo giorno, lo sforzo di relegare l'arte nel “profano” non può non sembrare una crisi profonda della visione teocentrica del mondo e dell'uomo” (op. cit.).

                    cardinale Christoph Schönborn (riproduzione tratta da www.chiesasangiorgioalbanese.it)

 

 

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