La brochure dell'evento.
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LUOGO:
Sagrestia della Basilica di Santa Maria in Montesanto (Chiesa degli Artisti)
Via del Babuino, 198 - Roma
INAUGURAZIONE: sabato 15 marzo 2008 - ore 17
DURATA: 15 marzo - 6 aprile 2008
con il
patrocinio di "Besa-Fede" circolo di cultura italo-albanese di Roma
ORARI: feriali 16-19; festivi 11-13; lunedì chiuso (compreso lunedì
dell'Angelo)
INGRESSO LIBERO
a cura di Angela Noya e Stefania Severi
cataloghi e documentazione in galleria
PER INFO: 06/7810398 - 338/4034787
WEB: www.taninacuccia.it
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Tanina Cuccia, artista siciliana, originaria di Piana degli
Albanesi, che attualmente vive ed opera a
Palermo, realizza una personale nella capitale. In questa
mostra la Cuccia ci propone una sua
personalissima rivisitazione, una ricognizione che
senz'altro può definirsi
concettuale, dell'icona, l'immagine sacra per eccellenza, che
decontestualizza dal suo aspetto originario creando e inserendovi accordi
cromatici che ne evidenziano nuovi e singolari valori estetici. Da
ciò emerge e si pone il quesito: è un
tentativo dell'artista di cercare in tal modo di salvare queste preziose
immagini dal degrado, o altrimenti tutto ciò è l'evidente testimonianza
di un sentire attuale, segnale di un mondo di certezze ormai in disfacimento?
Tale singolarità è il fattore intrigante e affascinante della validità del suo
lavoro. In mostra una ventina di lavori di vario formato, tra cui
due grandi dittici: "Moderna Sindone"
collocato all'interno della chiesa nella cappella di Santa Lucia, mentre
"Annunciazione" è esposto in sagrestia con le altre opere.
a cura di Angela Nova
L’icona, espressione della spiritualità
bizantina, si sviluppa nell’ambito di una sacralità cristallizzata fondata su
regole e canoni ben definiti, in essa vi è essenzialmente la ricerca del “
bello-buono “ e il suo compito è quello di portare alla contemplazione della
verità. Tuttavia al di là del mero aspetto religioso vi è in alcune icone una
bellezza che travalica ed a volte prescinde da esso pur non arrivando al non
sacro. Tale bellezza scaturisce da accordi cromatici azzardati, da segni che,
decontestualizzati, si caricano di nuovi e ricchi valori estetici, e da
particolari contrasti di materia.
La mia ricerca negli ultimi anni si svolge in questo ambito che potremmo
definire dei confini del sacro.
T.Cuccia 2003.
Palinsesti
Un segno cancellato per far posto ad un
altro. Senza scandalo, in una operazione non solo possibile ma addirittura
inevitabile ciò che era scritto cede il posto ad altri pensieri
(pensieri-parole; pensieri–immagini ) in una normalità che è regola storica.
Vi sono alcuni affreschi che lasciano intravedere fino a cinque strati di
intonaco e di pittura precedenti. Ogni volta cancellati e ridipinti. Mi piace
dipingere gli strati di questa storia di segni con la consapevolezza che
qualcun altro possa un giorno “scrivere “ su l’ultimo di essi.
Tanina Cuccia 2007
La mia ricerca ruota attorno al
sacro.
Le mie
opere si possono leggere come un
progetto dissacratorio mai pienamente attuato
o come la drammatica rappresentazione del
senso della perdita del sacro.
2006
Un mondo
lontano popolato da santi guerrieri e creature angeliche si invera tramite un
attento e meticoloso lavoro pittorico che recupera antiche tecniche. I tagli e
i piani dai forti contrasti materici riportano però questo mondo ad una realtà
soggetta alla disgregazione della materia ed ai suoi incontrollabili mutamenti.
In questo processo di decontestualizzazione i segni perdono il loro significato
originario per dar vita a nuovi significati pittorici.
In questo modo la mia ricerca ruota attorno ad un progetto dissacratorio
tuttavia mai pienamente attuato poiché ad essa si intreccia una ricerca di
identità che si basa sulla coscienza di far parte di una storia umana che nulla
ha a che fare con la incorruttibilità e la integrità assoluta e d’altro canto
sulla constatazione dell’attrazione verso il misticismo bizantino che mi
appartiene in quanto “ arbëreshe”.
2006
Santi guerrieri
crociati
il cui gesto si stempera nella storia
che dissolve il senso della lotta
e conserva i segni della dissoluzione.
la materia ferita rimane.
2006
IERATICA MINUENDO
E' sacro ciò che rientra nei confini del sacro, che vive entro quello spazio definito, riconosciuto ed enunciato come sacro .
Se solo questa linea di confine fosse riconosciuta come elemento comune, se essa fosse rigidamente fissata in regole e norme globalizzanti non discuteremmo di confini ma avremmo la netta distinzione tra ciò che è sacro e ciò che non lo è.
Invece, non solo ogni gruppo sociale racchiude le sue divinità all'interno di un confine, ma anche il singolo individuo opera la sua scelta decidendo anche se in questo spazio debba includere la sua esistenza o lasciarla fuori. D'altro canto alcune volte tali confini dello spazio sacro diventano talmente vasti che i contenuti vi si perdono. Altre volte l'ambito è talmente minimo che tutto ciò che sta dentro è immediatamente identificabile, chiaro ed evidente.
In campo artistico senza dubbio questa esperienza diventa più complessa poiché essa non si può fermare all'esperienza intimista ma si deve aprire alla partecipazione, dunque il suo confine deve diventare anche sottile ed accessibile se si vuole favorirne la fruizione. Si tratta di percorsi di ricerca impervi che raramente vengono intrapresi nell'arte contemporanea. Essa spesso assegna confini minimi alla sacralità, per cui necessariamente o si fa “arte sacra”, destinata ai luoghi di culto con “cliché” ben definiti e dogmaticamente indiscutibili (vedi l'iconografia bizantina o quella vasta produzione d'”arte” sacra occidentale leziosa e chiesastica) o si rifiuta nettamente questa sacralità dai piccoli confini con azioni di forza distruttiva (esperienza comune a molti artisti contemporanei che però si prodigano nella dissacrazione solo in alcuni tratti del loro percorso artistico).
Vi è un altro modo di rapportarsi artisticamente al sacro ed è quello di considerare i confini di esso sempre più vasti, allargarne i confini fino a comprendere la spiritualità dell'arte, fino ad inglobare la bellezza dei segni, della materia, delle tracce del tempo, della profondità concettuale del dubbio.
Se questi confini si allargano la ieraticità viene diluita, il confine tra ciò che è sacro e ciò che non lo è diventa ancor più sottile, la ieraticità cede la sua supremazia alla spiritualità che solo attraverso l'arte si esprime.
L'opera perde dunque la sua funzione di oggetto legato al culto o alla denuncia di pratiche non condivise o deridibili per diventare opera a se stante ,opera d'arte.
La dimensione del sacro
di Enzo Barone
Come inquadrare le opere di
T. Cuccia all’interno della mostra? Sono direi essenzialmente opere che partono
dalla fede, dalle riflessioni e dai dubbi con cui deve fare i conti chi crede
sinceramente e modernamente. In fondo i suoi dipinti sono questo,
semplicemente: carichi della forza semantico-sacrale della catechesi ortodossa,
in buona misura eseguiti coi canoni formali raffinatissimi e rigorosi,
prescritti da sempre per tali immagini dalla tradizione iconologica ma rilette
con saggezza, con misura, dosando attentamente le "dissacrazioni"
dell'arte contemporanea, sotto la luce di un'intelligenza enigmatica che cerca
una dimensione più compiuta da dare alla propria fede. Quali sono i oggetti
dominanti della mostra ? Facile allora indovinarlo: una Sacra Sindone in un
dittico, angeli, santi guerrieri. Vergini con Bambino, un bellissimo
Crocefisso, un trittico dissestato. Tutti però sono impaginati su supporti
lignei mai regolari: spesso vecchie tavole trovate dall'artista nelle case di
Piana, tarlate, consumate, vissute, bellissime in sé, come i sacchi, il
materico di Burri sulle quali le figure emergono sempre frammentate , lasciando
intravedere talvolta il nudo legno ai margini o tra la pittura, come in
un'antica tavola medioevale, appena trovata, da restaurare, certe opere sono
invece pannelli mutili e rosicchiati quasi di polittici ormai perduti, relitti
di un sacro arcaico impossibile da ricostruire o magari porzioni di un'immagine
frantumata e poi ricomposta arbitrariamente, dove i vuoti, la lacuna, la
sconnessura, da un lato ci fanno cogliere tutta l'intrinseca bellezza della
materia lignea e dall'altro si impongono come elementi formali essenziali nell'
equilibrio compositivo generale. Ciò che esiste, ( ed è l'esistenza assoluta
del divino ! ) esiste ancor di più in opposizione drammatica a ciò che non
esiste, al vuoto. Altre volte in una complessa armonia il frammento iconico a
tempera è calibratamene incastonato tra pure stesure qualificate solamente
dalla molteplicità di tecniche e materie usate, come l'argento l' argento
meccato, la lamina d'oro oppure l'affresco; talvolta le figure sono anche
accompagnate da brani di pittura a tempera essenzialmente decorativi, evocativi
di temi floreali come nel significativo "Concetto teosofico". In
questa opera come in altre si ritrova ad esempio qualcosa della geniale
contaminazione pittorica di Klimt, perché nello stesso dipinto si incontrano si
confrontano, valorizzandosi reciprocamente valori spaziali, qualità
coloristiche e formali dissimili; il volume e i colori descrittivi delle
figure; lo spazio infinito, delle profonde campiture grigie; la spazialità
bidimensionale, preziosa delle decorazioni colorate "floreali", in un
raffinato gioco di assonanze o di dissonanze. In opere come "Palinsesto"
poi, o in alcuni angeli, le icone sono inserite in campiture segmentate con
vari colori, a volte piatti, a volte graffiati, incisi, velati, magari con
l'inserzione grafica elegantissima di brani delle sacre scritture o di semplici
caratteri fluttuanti dell'alfabeto greco: non
si tratta in questo caso solo di una furba strizzatina d'occhio all'arte
concettuale o segnica, ma di valorizzare, di leggere modernamente un arte che è
e rimane iconografica. A parte il fatto che il grafismo decorativo, in fondo,
la prima arte segnica, nasce nel mondo bizantino prima e islamico poi e questo
la Cuccia lo sa bene. Nonostante le citazioni, i diversi riferimenti all'arte
contemporanea, diffìcilmente in tutto questo, in Tanina Cuccia leggeremmo la
deriva pessimistica di gran parte dell'arte novecentesca, quanto il romantico,
autentico recupero di "frammenti" dell'universo iconografico e
religioso della tradizione in questo nostro tempo, in questa nostra estetica,
così smaliziata e satura, cercando forse nello spettatore, con questi preziosi
relitti di legno consumato, colui che debba completare il puzzle, dare un senso
ad un discorso sospeso, interrotto, frammentato.
Memoria e comunicazione
di Giuseppe Burgio
“…mi resi conto, sempre più
chiaramente, che l'arte non è una questione di elementi formali, ma di un
desiderio (= contenuto) interiore che determina profondamente la forma” (W.
Kandinsky, Ruckblik, Berlino 1913).
Al visitatore che si accinge
a fruire l'opera qui esposta di Tanina Cuccia, suggerisco di raccogliersi intorno
al significato di memoria e
comunicazione.
Il tema, l'icona, viene proposto sotto forma di ricordo. Di una esperienza
prima di tutto: le scoperte durante il restauro di icone, l'interesse che
queste hanno suscitato, la successiva attività di iconografa che in modo
naturale ne è scaturita.
L'icona è preghiera, atto di fede; ma anche identità culturale, appartenenza ad
una comunità e condivisione profonda dei suoi riti.
E' ricerca del bello, è forma e colore che veicolano una spiritualità
altrimenti incomunicabile. Ma l'iconografia impone una tecnica, un canone
rigoroso; non ammette trasgressioni o confronti dialettici. Poiché sulle
immagini sacre qui presentate irrompono, invece, dubbi, nuove conoscenze e
sperimentazioni, i quadri in mostra non sono pittura di icone ma di ricordi.
Le nuove conoscenze traggono origine dall'arte e dalla ricerca delle
avanguardie storiche; sono i piani-luce che intersecano e, a volte, stravolgono
quelle immagini-ricordo e derivano dalla volontà di interferire con esse,
apportando nuovi contenuti. Questi acquistano pregio nella sperimentazione
tecnica, nella scomposizione formale e materiale di quegli oggetti-storia: con
un metodo che chiaramente presuppone l'esperienza didattica. Al primo nucleo
emozionale di riferimento si aggiunge, dunque, un bisogno di comunicare.
L' Artista evoca e spiega, ricorda e racconta.
Che cosa?
Una Madonna porta in grembo “l'Incontenibile” (Palinsesto, 2004), ma il
supporto ha anch'esso molto da dire e lo fa senza invadere il significato
spirituale del Mistero, ma semplicemente aggiungendo, mediante i ricordi
dell'artista, gli strati che la storia ha depositato.
Alcuni Santi Guerrieri (2003, 2005, 2006) ripropongono la lotta tra bene e
male, ma non riescono a risolvere la contraddizione dei termini
guerriero-santo. Possono tuttalpiù comunicarci qualche dubbio. Un ripensamento.
Forse?
Qui il tempo viaggia sull'onda leggera della malinconia, lasciando cadere
l'interrogativo per volgere lo sguardo alla assoluta bellezza dei colori e
delle forme, alla sorprendente attualità e versatilità della retta diagonale
capace, ieri come oggi, di organizzare la composizione del quadro,
conferendogli ritmo e vita; o inserendo i piani-colore (2003) che ricordano lo
spazio fatto di sola luce e senza oggetti di Larionov; o, infine, trasformando
Santo e Mostro in forme astratte, caotiche in una strutturata composizione
costruttivista.
Un Cristo-Dio e un Cristo-Uomo, la Sindone, dove, una volta riposto il problema
della fede (“Credo nonostante i miracoli”), viene riproposto simbolicamente
l'incontro fra umano e divino e, concretamente, quello fra l'arte dell'icona
con quella astratta del XX secolo.
Sono testimonianze e interferenze di piani, colori e luce, collocate ai lati
del quadro, stese sopra ritrovamenti di tavole allungate secondo la direzione
delle venature e assemblate. L'opera diventa così somma di più reperti ove si
incontrano brani di colori, il vuoto del fondo, la trama rivelata del supporto
e delle stratificazioni della storia.
Un Angelo, un Arcangelo, la dissezione di un Angelo (Empireo, 2003; Arcangelo,
2004; Creatura angelica, 2006) proponendo il soggetto per antonomasia della
rarefazione, lo fa contrapponendolo alla concretezza della materia e alla
didascalicità del procedimento tecnico. La materia viene cioè esibita nei suoi
vari stati ( pigmenti, mecca, legno, lamiera); il tempo ci consegna le idee
attraverso l'epifania di forme e colori sui supporti materici in
trasformazione; il brano pittorico ci conduce al contenuto (il desiderio di Kandinsky)
dell'arte. La forma e i colori sono il frutto di quel desiderio che, se per
Kandinsky era la certezza dell'avvento di un'era dello spirito, per l'arte di
T.C., avvenuto ormai il disincanto, è certezza di fede e di dubbio insieme.