Non vi è paese dell’Arbëria (Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglie, Molise ed Abruzzo), fondato o popolato, nella seconda metà del XV secolo, da profughi provenienti dall’Albania occupata dagli Ottomani, che hanno offerto il proprio contributo alla causa dell’indipendenza e dell’Unità d’Italia. Della Sicilia ricordiamo uno per tutti Francesco Crispi; ma è la Calabria che detiene il primato di una lunga schiera di martiri e di eroi, anche di stirpe arbëreshe (italo-albanese), che danno lustro alla storia d’Italia.
.I nomi? Agesilao Milano, il regicida mancato di S. Benedetto Ullano (8 dic. 1856); il grande poeta e vate degli albanesi, Girolamo De Rada di Macchia Albanese, arrestato nel 1838; Raffaele Camodeca di Castroregio, giustiziato l’11 luglio 1844; il poeta soldato Vincenzo Stratigò; Pasquale Scura di Vaccarizzo Albanese, autore del plebiscito d’annessione e ministro del governo provvisorio dittatoriale napoletano; i tre dei Mille di Garibaldi: Domenico e Raffaele Mauro di S. Demetrio Corone, Domenico Damis di Lungro;i tanti patrioti italo-albanesi che hanno dato vita ai moti rivoluzionari e con loro la massa del popolo: ben 825 quelli che hanno preso parte ai moti del 1848, dei quali 200 della sola Lungro; ancora da Lungro altri 500 si aggregarono ai garibaldini nel 1860. L’elenco dei nomi, dei martiri e dei patrioti riempiono pagine e pagine della storia locale, ancora del tutto sconosciute e che andrebbero riscritte e poste all’attenzione specialmente delle nuove generazioni.
Vi è anche un lungo elenco di donne coraggiose, madri e mogli dei patrioti che hanno anch’esse avuto un ruolo non indifferente. Una fra tutte è Matilde Mantile che sofferse il carcere, assieme ad un manipolo di donne di Lungro, a causa delle azioni rivoluzionarie intraprese dal figlio Vincenzo Stratigò nel luglio del 1859. Il Risorgimento ha offerto alle popolazioni arbëreshë l’occasione di dimostrare il loro attaccamento alla nuova terra con entusiasmo e spirito eroico rispondendo in massa al “grido di dolore” ed accorrendo là dove vi è era bisogno di combattere per la libertà di un popolo. L’esempio della gente arbëreshe che, nel corso dei cinque secoli di permanenza in Italia è riuscita ad integrarsi nella nuova patria, pur conservando gelosamente la propria diversità linguistica, cultura, tradizionale e religiosa, racchiude valori attualissimi nella nostra società mediterranea dove sono in atti mutamenti epocali attraverso conflitti tra gruppi etnici e religiosi di diversa provenienza.
Il 4 ottobre 2004 a Lungro il centenario della morte di uno dei suoi figli migliori, il tenente generale Domenico Damis, che ha fatto parte dell’impresa garibaldina. Un comitato promotore, sorto per l’occasione, ha presentato l’evento prima alle scuole cittadine e poi alla popolazione. Le celebrazioni si svolgeranno in un lungo iter che durerà almeno un anno, dove saranno prese delle valide iniziative che tendono a recuperare la memoria dell’epoca risorgimentale vissuta in modo particolare dalle popolazioni arbëreshe calabresi. Si celebrerà in primis la figura del tenente generale Damis, attraverso lo studio della sua nobile figura di intellettuale, combattente e sostenitore delle politiche sociali, in modo particolare quelle educative.
Il Damis nacque a Lungro il 24 febbraio 1824. Studiò, come fecero gli intellettuali più importanti della Calabria, nel famoso e storico collegio italo-albanese “S. Adriano” di San Demetrio Corone, di lunga e nobile tradizione, faro di studi e di ideali patriottici, temuto da Re Ferdinando e dai borbonici che lo indicavano come “fucina di diavoli”. Continuò i suoi studi prima a Cosenza e poi a Napoli, quelli in giurisprudenza. Ancora ventenne prese parte all’insurrezione cosentina del 15 marzo 1844, dandosi poi alla latitanza per sottrarsi ai rigori della legge. Fu uno dei fondatori a Lungro della società della Giovane Italia. Insorta la Calabria nel 1848, Damis fu uno dei primi che si mise a disposizione del Comitato di salute pubblica costituitosi in Cosenza, e, con Giuseppe Pace, Gennaro Placco, Domenico Chiodi, Francesco Saverio Tocci, Vincenzo Mauro, Francesco De Simone ed altri, si arruolò da soldato semplice. In quell’anno comandò i duecento e più insorti del suo paese che opposero resistenza al Passo di Campotenese, sul Pollino, all’avanzata dell’esercito borbonico e poi combattè con i suoi prodi a Monte S. Angelo. Nel 1851 fu arrestato in Lungro e rinchiuso nelle carceri di Cosenza. Con sentenza del 9 agosto del 1851 fu condannato a 25 anni di ferri al 4° grado per attentato e cospirazione contro lo Stato. È internato nella galera di Procida il 26 novembre, dove tra un interrogatorio e l’altro, si dedica agli studi letterari e storici, compilando commenti alle opere di Tacito, di Cicerone e al “Paradiso perduto” del Milton. Nel 1959 è inviato in esilio perpetuo dal Regno prima in Irlanda. A Londra, con Settembrini, Spaventa, Poerio e Pace, riprende la sua azione politica per l’unione dell’Italia.
Nel 1860 è a Genova e parte da Quarto con i Mille di Garibaldi. Dopo la presa di Palermo è decorato con la medaglia di bronzo e nella campagna di Sicilia con quella d’argento. Il grado di Capitano lo ebbe da Garibaldi il 20 giugno. Il 26 successivo è nominato giudice istruttore del Consiglio di guerra ed è addetto allo Stato Maggiore di Garibaldi. Al Volturno, come tenente colonnello, comanda il reggimento albanese, comprendente tra gli altri albanesi anche i cinquecento arruolati di Lungro, e negli scontri sotto Capua guadagna la medaglia d’argento al valor militare, avendo riportato una ferita ad un occhio che in seguito perderà. Entra poi nell’esercito nazionale dove raggiunse il grado di Tenente Generale. Svolse un’intensa attività politica rappresentando le popolazioni del Pollino quale primo deputato del collegio di Castrovillari nella VIII, IX e X legislatura. Fu socio dell’accademia Pitagorica, membro del Consiglio Albanese di Roma che mirava è stato ricordato alla libertà dell’Albania e commendatore di S. Maurizio e Lazzaro, Croce d’oro di Savoia.
Gli ultimi anni della sua vita li trascorse nella sua Lungro dove ebbe l’incarico di soprintendente delle scuole. Morì il 4 ottobre del 1904. Il Comitato promotore ha inteso, quindi, dare inizio ad una serie di manifestazioni che hanno al centro la grande partecipazione della gente arbëreshe alle lotte del Risorgimento, partendo proprio dal centenario della morte del Generale Domenico Damis, perché non vada dimenticata la memoria di questa epoca gloriosa e dei suoi protagonisti che hanno fatto di LUNGRO “La Città del Risorgimento”.
Tratto dalla rivista Calabresi nel Mondo, Nov 2004