Le storie degli albanesi di Calabria iniziano ad intrecciarsi alla Storia d'Italia durante l'impresa garibaldina. Giuseppe Martino, di origini lungresi, noto e apprezzato anche come medico e politico, ritorna sulle storie dell'epopea risorgimentale con "Soldato di Garibaldi", edito da Calabria Letteraria/Rubbettino, per approfondire con documenti e ricostruzioni storiche le vicende di un protagonista della lotta contro i Borboni, il Tenente Generale Pier Domenico Damis.
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Garibaldi idolatrato come novello Skanderbeg, si legge nell'appendice storica del suo libro. Come mai le lotte risorgimentali ebbero un così largo contributo da parte degli arbëresh, in particolare di quelli di Lungro?

"Sono molteplici i motivi per i quali gli italo-albanesi, nel periodo risorgimentale, si schierarono contro i Borboni, in favore del progetto unitario. Non ultimo il fatto che, chiamati dai re di Napoli intorno alla metà del quattrocento come alleati, assieme al loro condottiero Skanderbeg, nei secoli successivi vennero man mano privati dei privilegi lucrati sui campi di battaglia, contrastati dal clero latino (essi praticavano invece il rito greco cattolico), emarginati e costretti a raccogliersi nelle loro comunità, dove peraltro  riuscirono a conservare lingua, culto ed abitudini.

Quando a questo risentimento di base nei confronti dei governanti napoletani, si aggiunse una migliore preparazione culturale, dovuta agli studi dei giovani presso il particolare Collegio di S. Adriano ed alimentata dai fatti della Repubblica Partenopea e dai frutti del decennio francese, consistenti essenzialmente in un desiderio di rinnovamento della semifeudale società borbonica, ogni occasione fu buona per cospirare e scendere in piazza e in armi prima e dopo il 1848.

La necessità di rinnovamento assunse in Lungro un aspetto particolare per la presenza di un abbozzo di classe operaia, che partecipò attivamente ai moti del suddetto 1848, finendo anche coinvolta nelle pesanti condanne che ne seguirono.

Nel 1860, quando Garibaldi passò in Calabria si costituì un battaglione di arbëresh (con ben 500  lungresi, fra gli altri) che combatté  sul Volturno, ricevendo gli elogi del generale.

E' facile comprendere, visti i trascorsi storici dell'etnia arbereshe, già vivificati dalla memoria di Skanderbeg, il mitico difensore della libertà albanese, che Garibaldi, nella veste di liberatore, venisse a questi accomunato in una specie di reincarnazione."

Cosa rimane oggi nella memoria di quella epopea eroica?

"Personalmente ritengo che dell' epoca risorgimentale sia rimasta nell'immaginario collettivo una stratificazione subcoscienziale; una di specie di consapevolezza di avere avuto degli antenati importanti di cui si è intimamente orgogliosi."

Nel 2004 lei è stato uno dei promotori della celebrazione del primo centenario della morte del generale Pier Domenico Damis. Come ha risposto la cittadinanza all'evento?

"Allora cercammo di dare sostanza alle memorie, celebrando uno dei protagonisti di quel periodo, come presupposto per risvegliare interesse e ricerche sull'intero periodo e su tutti gli altri non meno importanti personaggi, sollecitando ad esempio i giovani a  rovistare nei ricordi di famiglia per trovarne le tracce. La risposta non è stata eccezionale o, perlomeno, è rimasta limitata, anche per il sostanziale disinteresse delle istituzioni."

 

Sulla base di quali motivazioni lei ha proposto che Lungro sia dichiarata "Città del Risorgimento"?

"Essenzialmente sulla particolare articolazione dei fatti che si svolsero in Lungro in quel periodo, per la partecipazione sentita e corale ad essi di tutti gli strati sociali e delle donne. E per la conservazione in Lungro di un cimelio storico importantissimo ed unico: il tricolore confezionato dalle donne albanesi, utilizzando anche i galloni del loro costume. Portato dai volontari lungresi, sventolò sul Volturno nella battaglia che lì si svolse."

Cosa propone per il recupero della storia risorgimentale, di Lungro in particolare, in termini di progettualità e di studio?

"Utilizzare il bicentenario (1807-2007) della nascita di Garibaldi per riproporre una nuova e più profonda rivisitazione culturale, sociale e materiale - come la ricerca di reperti familiari e documentali - di quegli avvenimenti. Ciò può essere attuato anche da privati competenti e di buona volontà, a patto che anche le istituzioni ne recepiscano l'importanza, soprattutto non scoraggiando con la loro indifferenza i volenterosi."

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