La lingua è l’elemento fondamentale che caratterizza una comunità e un intero popolo. Secondo Bruner la lingua svolge una funzione di trasmissione culturale. Infatti, diventa tramite necessario per la conservazione di pratiche culturali e religiose. Inoltre, non va dimenticato, nel caso della comunità di Piana degli Albanesi, che un ruolo fondamentale nella conservazione della lingua arbëreshe è stato giocato dai papades. Infatti, il primo testo il lingua arbëreshe è stato scritto nel 1592 da un sacerdote: Luca Matranga. Si tratta dell’ E Mbësuame e Krështerë – La Dottrina Cristiana Albanese. Nel corso dei secoli, come in parte ancora oggi, nelle chiese arbëreshe di Piana le preghiere si recitano in lingua. E, grazie al catechismo frequentato dai bambini che si preparano per la prima confessione, si ha la possibilità di dar vita a un continuum e tramandare alle nuove generazioni la lingua.
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Ho incontrato il parroco della Cattedrale di San Demetrio di Piana degli Albanesi, papas Giovanni Pecoraro: uno dei papades maggiormente operosi nella salvaguardia e tutela della lingua attraverso le sue attività religiose e culturali. Infatti, come leggerete più in basso, papas Pecoraro sta lavorando anche a una traduzione del Vangelo in lingua arbëreshe, interamente dedicata ai bambini che frequentano il catechismo. Insomma, un lavoro il cui obiettivo è unicamente l’amore per le nostre tradizioni linguistiche che si intrecciano anche, e soprattutto, al piano religioso.
Cosa significa essere un papas dell’Eparchia di Piana?
Ho sempre creduto che Cristo, incarnandosi in Giudea e facendosi così ebreo e annunciando il Regno di Dio ai suoi fratelli di sangue, ha reso concreta e reale la sua incarnazione, veramente è venuto ad abitare in mezzo a noi. Ecco questa è l’immagine che ho sempre contemplato e cercato di vivere. Dove? Ma dove vivo. La mia fede è una fede incarnata vissuta e condivisa tra gli arbëresh, essendo io arbëresh, annunciata agli arbëresh che provengono e vivono la chiesa greco-bizantina. Non posso travalicare o ignorare quella chiesa millenaria che ha generato, cresciuto ed educato alla fede in Cristo.
Col passare del tempo il ruolo della chiesa nel salvaguardare della lingua arbëreshe è ancora vivo?
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È ancora vivo, anche se declinante, per quanto riguarda la prassi, cioè l’uso della lingua in chiesa (solo a Piana): quello che è stato fatto come traduzione è rimasto. Purtroppo è in uno stato di grave rischio di estinzione. I bambini ormai l’usano largamente nel parlato. Sia la scuola che il comune ormai non mostrano più alcun interesse vivo e concreto verso la cultura e la lingua autoctona. I sacerdoti non mostrano più alcun interesse all’uso della lingua nelle celebrazioni.
Perché?
È più semplice usare l’italiano.
Che rapporto hanno, secondo lei, i giovani di Piana con la chiesa locale?
Appena fanno la prima confessione, cioè finito il catechismo, i ragazzi si eclissano. La maggior parte non frequenta più o meno regolarmente la chiesa. Tuttavia, debbo costatare che due realtà ecclesiali presenti nel territorio continuano a mantenere i legami tra giovani e chiesa.
Quali?
Gli scout, sicuramente la realtà associativa più duratura e più importante di Piana, con una forte propensione all’educazione; e il comitato San Giorgio, più modesto come numeri ma più visibile e intraprendente nella diffusione della devozione al nostro Santo Protettore che ha sempre affascinato i giovani. Infine, la realtà della Caritas che a Piana ormai viene coordinata da una équipe di giovani che si dedicano all’educazione degli adolescenti, agli anziani e alle disabilità.
I fedeli continuano a pregare in arbëresh?
Si continuano. Il paradosso però è che nonostante il livello culturale nella comunità sia cresciuto notevolmente rispetto a 50 anni fa grazie a strumenti a disposizione per l’uso della lingua nelle celebrazioni (libretti bilingue o trilingue, incluso il greco), nella vita quotidiana l’arbëresh viene quasi del tutto snobbato.
Quali sono i suoi propositi riguardo al futuro dell’Eparchia di Piana?
Purtroppo per adesso l’Eparchia non può fare alcun proposito essendo sede vacante. Chi si inserirà penso che darà una nuova vitalità alla nostra chiesa.
Per quanto mi riguarda, anche se sono un pò pessimista sull’arbëresh in chiesa, finché potrò userò la nostra lingua come anche il greco liturgico. Da anni ho in cantiere di sistemare il Vangelo arbërisht e sto lavorando su un libro che raccolga quasi tutti gli uffici liturgici in arbëresh così che ogni arbëresh abbia un testo proprio per la preghiera personale. (da filodirettomonreale.it)