Il pianto speculare
Secondo altri, non è disdicevole insistere sull'identità in un mondo globalizzato, sottoposto a rapidi processi di deidentificazione e di depersonalizzazione. Ma occorre allargare i confini dell'identità ed essere più estremisti, non nel senso che bisogna andare più a destra o più a sinistra, ma più in alto e più in basso. Il baricentro dell'identità dovrebbe oscillare in due direzioni: in direzione ascensionale, dalla zona cardiaca alla zona cefalo-cerebrale e in direzione "discensionale", dalla zona cardiaca alla zona "artropodica" o pedestre. In termini meno allusivi e più diretti, occorre essere meno sentimentali e più razionali, occorre investire nell' educazione alla conoscenza scientifica di quei settori di realtà utili alla mobilità professionale e geografica. Dunque, la conoscenza delle lingue straniere di più, meglio e prima di quella materna che è indispensabile per piangere e per ridere, ma fino a quando qualcun altro può avere un qualche interesse a sentirci piangere e ridere; subito dopo, anche la lingua materna cessa di esserci utile, se non per continuare a ridere con gli amici d'infanzia ,che ,certamente, di pianti non ne vogliono sentir parlare. Se proprio non se ne può fare a meno- di piangere - si può continuare a farlo nella lingua materna davanti allo specchio e brevettare l'operazione con il nome di "pianto speculare". Tra l'altro, l'Arbëresh - insinuano i sostenitori della teoria del narciso shqipëtaro in lutto - si presterebbe in modo particolarmente efficace a svolgere questa funzione, per la sua ricchezza musicale in fatto di fonemi e la sua superiorità quantitativa , rispetto all'Italiano, sul versante delle lettere alfabetiche (36 contro le 21 dell'Italiano).
Gli esterofili, seguaci di una ideologia dirigistica , sostengono la necessità della formazione a tavolino di una koiné linguistica che assuma ed amalgami elementi locali ed elementi importati dall'esterno con lo scopo di soddisfare esigenze di comunicazione istituzionale di tipo amministrativo e di creare i presupposti culturali per una cooperazione tra alloglotti e istituzioni del Paese di esodo .Gli esterofili esprimono perplessità di fronte alla prospettiva di un pianto speculare di tipo polifonico, anche in considerazione della difficoltà a reperire specchi dotati di superfici speculari che abbiano dimensioni proporzionate alla grandezza della collettività internazionale costituente il coro di emarginati potenziali e reali delle due sponde opposte, del Mar Adriatico e del Mar Jonio.
I localisti sostengono che se la lingua parlata può svolgere una funzione, questa deve prescindere totalmente dal rapporto con la lingua ufficiale del Paese "straniero" e deve consistere nella valorizzazione delle tradizioni locali veicolate dal mezzo linguistico socialmente operante. Il carattere isolazionistico di questa concezione viene attenuato dalla concessione benevola alla lingua "straniera", parlata nel Paese di origine, del privilegio di essere considerata progenitrice , ma pur sempre lontana, di una realtà comunicativa che ormai si é emancipata da ogni sudditanza ed ha acquistato la sua autonomia dalla ex madre patria.
La riflessione empirica, per immagini e metafore, svolta negli scritti , qui di seguito riportati, che l'autore si rifiuta di chiamare "poesie", rappresenta, a modo suo, il nucleo sostanziale della problematica esposta, per sommi capi, in questa introduzione. La lingua minoritaria utilizzata come veicolo di rappresentazione dei problemi è quella arbëresh ( Unghirnjot) parlata nella comunità alloglotta albanofona di Lungro, in pprovincia di Cosenza. Una curiosità: Il nome della comunità, Lungro, in Italiano, Ungra, Unghir in Arbëresh, ha assonanze che richiamano parentele fonetiche con nomi della Guinea Bissau (UNGRO), dell'Islanda (UNGRI), della Romania (UNGRA) , della Birmania (LUNGRI) e della Gran Bretagna (HUNGRY): la fonetica universale dei linguaggi umani tradisce una segreta aspirazione della natura a sostenere l'utopia dell'esperanto. Altro che localismo linguistico. Ecco gli "scritti", redatti in Arbëresh lungrese (Unghirnjot) da Antonio Sassone e proposti dallo stesso autore con traduzione italiana a fronte:
GJUF'E E QANGIERIT UNA LINGUA DA MACELLAIO
Albrishti është një gjufë qangieri. L'Arbëresh è una lingua da macellaio,
Ndan shurbiset si një topir e trash . taglia gli oggetti come una ruvida ascia.
I rruxiartur si është, rrashkarin misht Arruginita com'è, lacera la carne
e i lë tulet të vargarisur si një bisht. e ne lascia sospesi i frammenti come pendule code.
Ndë donje t'e shkilqinje A chi volesse lucidarla
nëng sosnej moti t'e pushtinje; non basterebbe il tempo per spruzzar saliva
Albrishti ka cickun pa ehjur, L'Arbëresh è una scure spuntata,
nëng hin mbrënda ndë kurmit si gilpier, non penetra dentro il corpo come un ago acuminato,
ma rri pir jashta ma si ferma in superficie
e gjimëst e mishit lë të bìer. e disperde nello spreco metà della carne che sfiora.
Albrishti nëng ka stolit të bënjë nuse fialat, L'Arbëresh non ha vesti nuziali per abbellir le spose,
i lë pa lar e i xheshin mbrolat. ma le lascia contaminate e le denuda.
Ndë donje të gjënje buk, Se volessi cercare cibo
Se të mbionje barkun tënde , per saziare la tua fame,
me vet albrishtin ndë grikt , con il solo uso della lingua Arbëresh,
mund hanje biav me krunde rischieresti di nutrirti di crusca di biada.
Si gjithë gjufat të prer' e të çiarë Come tutte le lingue tagliate e rotte
Albrishti, edhè se nëng ësht arë, l'Arbëresh, anche se non è lussuoso come l'oro,
sosin të qeshëç me shokët ha quanto basta per farti ridere con gli amici
e t'i mielç sist kur mbarsen lopët. e per farti mungere le mucche gravide.
Si qumshtin çë pi një viç i vikir, Come un vitello latterino aggrappato al seno materno
pive Albrishtin kur u leve. hai succhiato il latte dell' Arbëresh fin dalla nascita.
Kur vdiq jot' ëmë Se alla morte di tua madre
e qindrove pa skamandil ti dovessi trovare privo di fazzoletto
të shutarç sytë, e non sapessi come asciugar le lacrime,
vete ket albrishti puoi lenire il tuo dolore, trovando rifugio nell'Arbëresh,
e e lëpjin si mjal ket gjishti . e leccarlo come il miele che irrora il dito.
Mund jet se lotët të shkasin më mir Forse le lacrime scivoleranno più fluide
e zëmra rrashkaret më pak, e il tuo cuore si graffierà di meno,
edhè se u bëre pjak per alleggerire il peso dell'incombente vecchiaia
e nëng je më bir. e per sminuire la perdita della tua qualità di figlio.
Albrishti i qilluar ndir syt' e s'at ëmë L'Arbëresh, addormentato negli occhi di tua madre
ësht një gjuf' e fatosur: è una lingua fatata:
nga herë ç'e zgjon, ogni volta che le dai risveglio,
ngrëfet jot' ëmë ka bota e ngritë si desta anche tua madre dalla terra fredda
e të qeshin me dritë ndir sytë. e ti sorride con la luce negli occhi.
MUNGARJ DYGJUFËS L'AFASIA DEL BILINGUE
Kur fiet albrishtin, Quando parli la lingua arbëreshë,
shkararin ndë halkomit infili la testa nella giara gigante
shurbisevet të harruar; delle cose dimenticate:
se të gjëcë fialat grisin gjishtin , per trovare le parole, consumi il ditale,
ket biercë mot nga herë si çot ogni volta, devi indugiare in un imbarazzato silenzio
ture kruajrtur kocin e çerë, e nello sforzo di ricordare, gratti la testa e strofini il viso,
bine duke si pulë piklore fai la figura di una gallina lentigginosa
me këmbit të penguar; che ha le zampe legate,
ket ecëçë e këcecë pir ore, sei costretto a camminare saltellando per ore,
me një rropaq ndir duar, con un bastone in mano,
mos të mbaçofecë e se të rricë shtuar; per non inciampare e per reggerti in piedi;
ma dhopu çë fole gjuf albrisht. ma dopo che hai parlato la lingua arbëreshë
e nxore kamnen ka syt e gjisht e la fuliggine hai spazzato via da occhi e dita
adurin e spartavet e ndien senti il profumo delle ginestre
e shtie lule kopdhit Krisht. e come nel Corpus Domini fai festa, spargendo fiori dalle finestre
Kur fiet lëtisht, Quando parli un'altra lingua,
je si fucka qumbi, sei leggero come una palla di piombo,
duke i maim si derk kashetjie ti senti grasso come un maiale
çë hipet ndir rahjet, che cerca di salire su un dirupo,
rrugulliset ndir plezkat rotola nelle pozzanghere
e krufet se të nxier pieshtat. e si gratta strofinandosi per liberarsi dalle zecche.
Si do të fiaçë, albrisht o lëtisht, Quale che sia la parlata, arbëresh o non,
Kur gjënde Unghir quando ti trovi a Lungro
ture sgjiedhur gjiufin mentre cerchi di scegliere la lingua,
bier mot par se të fiaçë , ti attardi come una chioccia prima di parlarla
e si kllos ket bëçë dy gëlas. e come una chioccia espelli due pallottole di guano.
Pir haren atji çë të gjegjin Per fortuna di chi ti ascolta
fiet me grik e jo me shexhin. parli con la bocca e non con l'ano
Ikni mjj, , iknj pieshta
ecni gjithë ndir ata vreshta.
I BỄGATJ L'ARRICCHITO
Një herë hanje miell krundie Un tempo mangiavi farina di crusca
e teshtënje qurra hundie, e starnutivi spruzzando moccio dal naso,
kishe tirqit më kunjit portavi pantaloni con la pezza al sedere
e mut ndir thonjt . e avevi le unghie sporche..
Nanì çë u bëre i bëgat Ora che sei diventato ricco
ture viedhur mat rubacchiando mate
e ture shitur piçëpitat e vendendo merci adulterate
nëng qindrove të grrienje bithin me thonjit , non hai cessato di grattare il culo con le unghie
me duart pa lar i shet bukin gjindies, porgi il pane ai clienti con le mani sporche,
viell fial me grik . vomiti parole dalla bocca .
Mos të kurrumbirçë turrest Per non contaminare i soldi,
ng'i nget me duar, eviti perfino di sfiorarli con le mani,
ma i mer me një thik . li prelevi infilzandoli con una lama.
Se të mbjidhnje sa më donje Pur di accumulare altro denaro
Ishe i mir të shitënje bithin saresti capace di mettere in vendita il culo
edhè ahirna nëng e lanje. e neppure in quella occasione lo puliresti.
Më një here o më dhopu Prima o poi
Edhè tj ule i lodht pir posh nji fiku anche tu ti riposerai, seduto sotto l'ombra di un fico
E ture ruajëtur qiellin pa ree e guardando il cielo senza nubi
Kulton dritin e vetëherës ç' i t iku. rimpiangerai la luce della vita che non hai potuto trattenere,
Se me një dor grrinje bithin perché avevi una mano occupata a grattare il sedere
e me ietrin shprishnje hithin. e con l'altra spargevi l'ortica per l' altrui dispiacere.
GROPA LA FOSSA COMUNE
Ka Kàrmuni,
ket shpji e të vdèkurvet, Nella città dei morti,
më njëhere ishë Gropa , una volta c'era la fossa comune,
e llutmia shpji atirve ultima dimora
çë nëng kishin ëmrin. dei senza nome.
Sot, sipir grops u rrit Oggi, sul cumulo di terra è cresciuta
bari i shkret. e spadroneggia l'erba cattiva.
E vietir gropa u buar La vecchia fossa comune è scomparsa
e me atën kishterët pa ëmir e così gli uomini senza nome
buartin t'llutmin shpji. hanno perduto anche l'ultima dimora.
Eshtrat i hëngëtin qenët I cani randagi ne hanno rosicchiato le ossa.
Unghir, eshtrat e qenvet A Lungro, le ossa dei cani
gjetin shpjin, hanno trovato dimora,
kishterët nëng gjetin ëmrin gli uomini non hanno trovato il nome
e buartin Gropin. e hanno perso la dimora comune.
Ëmri është si lëkura sipir misht. Il nome è come la pelle sulla carne.
Kur qeni hëngri ashtin Quando il cane ha divorato l'osso
çë mban shtuar che sostiene
misht, la carne,
lëkure ëmrit ikin nd'ir duar la pelle del nome si consuma e sparisce
zotit Krisht. nelle mani di Dio.
Unghir kirdhirin se sosin ëmri A Lungro sono convinti che basti
i shkruar ndë marmurit la scritta di un nome sul marmo di una tomba
se të sgjofet Hora a restituire il risveglio ad Hora, la dea
cë ripitirin fialat, che fa risuonare le parole,
i dirgon ket ieta ne manda l'eco per il mondo
e bine i gjiegjin të gjiallt e tiene desta l'attenzione dei vivi
pir shum vieta. sul nome dei morti, per lungo tempo.
Syt e Horës kan dritin të shuar Hora ha occhi spenti
E fialt ndir gurt per guardar parole
ng'i shofin të shkruar. e nomi su pietra incisi echeggiar non vuole.
Atirve çë ian piakra, pa shurbìer, Ai vecchi che l'età ha reso inattivi
Hora i dha shortien më të mir se gjithve: Hora ha assegnato una sorte che più propizia
Duket se buartin ëmrin, shpin, non avrebbe potuto essere: sembrano persi nome,
gropin e kishterin ç'ishin . di casa, di fossa comune e della stessa identità.
Edhè mua, se ti vë kurorin, A coronamento del tutto,
më qindron vet anche a me non resta che perdere
t'im biret birlloku il gioiello da metallaro
çë kam ket vroku che adorna il mio tizzone
i shuar spento
si hilnar i viuar. nella custodia di un tremulo baluginare.
Qiesh si të duaçë, shoku im. Ridi pure, amico mio,
Pir gazin t'ënde ng' ësht vende Tanto, per il tuo riso non c'è luogo
ket ieta çë te prier prap. nell'universo che te ne restituisca l'eco.
Qindronj vet u me pokondrii Sono il solo ad essere impietosito
t'i të gjegjin dal ritorno di suono
kur qeshin ti si një dhii. della tua risata caprina.
ANTONIO SASSONE
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