Archimandrita Marco PettaConferenza tenuta nella Sala Collegio Corsini di S. Benedetto Ullano il 17.12.2005 dall’archim. Donato Oliverio
da Lajme, N°3 2005

La storia millenaria della Badia Greca di Grottaferrata è certamente un’operazione culturale ed editoriale che ha già visto diverse pubblicazioni in cui sono stati già esaminati i diversi aspetti e problemi. Non sono mancati studiosi che hanno dedicato la loro attenzione alle vicende del millenario monastero tuscolano, traendo profitto dal cospicuo patrimonio di codici, manoscritti ed opere d’arte che esso tuttora conserva. Fino ad ora è stata data alla ricerca un’impostazione che ha privilegiato l’aspetto storico, religioso, liturgico, ecumenico, utilizzato in tutte le sue eccezioni, per giungere a delle conclusioni soprattutto sul contesto religioso e propriamente culturale.
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Su questo filone si vuole inserire questo mio intervento con lo scopo di far conoscere un aspetto altrettanto importante, quello della presenza degli italo albanesi di Sicilia e di Calabria in questo meraviglioso monastero di Grottaferrata, un “gemma orientale nella tiara pontificia”,(Leone XIII) offrendo così una testimonianza dal vivo a chi volesse poi tracciare una più approfondita analisi. Questo scritto nasce da una sentita esigenza del mio animo. Vuole rappresentare soltanto un attestato di affetto e soprattutto di fede, verso questo monastero di S. Maria di Grottaferrata, dove ho vissuto 5 anni della mia vita, come seminarista nel Pontificio Seminario “Benedetto XV”. Ho scritto quanto era nelle mie possibilità, spinto dal desiderio di contribuire in qualche modo alla conoscenza, diffusione e valorizzazione della storia del vetusto cenobio di particolare significato storico ed ecumenico, per meglio comprendere il presente e soprattutto capire che il nostro passato può avere un grande futuro.

Già sotto il pontificato di Leone XIII Grottaferrata fu oggetto di speciali attenzioni per il ripristino integrale del rito e della disciplina orientali, voluto dai monaci e incoraggiati dalla Santa Sede al fine di mettere in maggiore evidenza l’esistenza stessa e la missione nella Chiesa del monachesimo greco, di cui in Italia il monastero di Grottaferrata era l’unico grande superstite. Ebbe una parte non indifferente l’abate Arsenio Pellegrini che regger à il monastero dal 1882 al 1918, il quale si muoverà da protagonista nel corso di un pontificato, quello di Leone XIII, eccezionalmente fecondo di idee e di progetti intesi a ricomporre il dissidio secolare fra la Chiesa Romana e la Cristianità Ortodossa. E. la stagione dell’unionismo, delle grandi encicliche che esaltano l’oriente Cristiano ed il suo patrimonio liturgico e spirituale.
È in questo clima che la Badia di Grottaferrata inizia a divenire un discreto e attivo centro di scambi e di contatti con il mondo orientale. Grottaferrata, fin dalla sua fondazione (1004), pur tra alterne vicende, rimase fedele alla tradizione monastica italo-greca che i Santi Nilo e Bartolomeo le avevano impresso con il loro esempio e il loro insegnamento. Ma con l’andar dei secoli non poteva non risentire, e in parte subire, quella che fu la sorte degli altri monasteri italo-greci, non ostante le sollecitudini della Santa Sede. Tutta l’istituzione monastica italo-greca, a un certo punto, venne a trovarsi fuori del tempo e in un contesto geopolitica ed ecclesiastico profondamente mutato nelle popolazioni, nella lingua, nella cultura e nel rito. Venuto meno l’elemento greco nell’italia meridionale e in Sicilia, il reclutamento delle nuove vocazioni si faceva unicamente tra gli italiani che si adattavano alla liturgia greca, finchè da ultimo non vennero le soppressioni del secolo scorso e dare l’ultimo colpo di grazia ai monasteri superstiti. La Badia greca di Grottaferrata sfuggì alla comune sorte perché dichiarata monumento nazionale e affidata agli stessi pochi monaci, in qualità di custodi. Tenue filo di vita che nei disegni della Provvidenza doveva servire ad aprire un nuovo capitolo nella millenaria Abbazia italo-greca di Grottaferrata. Bisogna dare atto alla saggezza degli abati Cozza-Luzzi e Arsenio Pellegrini (1882-1918) i quali alla fine del 1800, nell’assecondare pienamente le premure del papa Leone XIII, si preoccuparono innanzitutto a reclutare nuove vocazioni che sono l’ossigeno delle comunità. Problema tanto più urgente se si considera che i monaci erano pochissimi e tra questi solo alcuni avevano adottato il rito bizantino. Vocazioni che non dovevano adattarsi alla liturgia greca, ma innestarsi nel vivo del tronco per farvi rifiorire le migliori tradizioni spirituali, rituali e culturali del monastero. E tali vocazioni vennero in gran parte dalle comunità italoalbanesi di Sicilia (Piana degli Albanesi e Contessa Entellina dove rito e lingua fiorivano) e in seguito anche dalle comunità italo-albanesi di Calabria: insomma tali vocazioni vennero da quel elemento che già da quattro secoli andava sostituendosi a quello italo-greco. Prima del 1883 nella plurisecolare storia della Badia non si ha notizia di italo-albanesi diventati membri del Monastero. Questo primo contatto tra la Badia e le comunità italo-albanesi è stato determinato e favorito dalla Santa Sede. Fu il Pontefice in persona, Leone XIII ad intervenire, il 4 ottobre 1882, ordinò al segretario di Propaganda Fide, Cretoni, di preparare una circolare da spedirsi a tempo opportuno ai vescovi italiani, aventi qualche colonia Greca nelle loro diocesi per invitarli ad inviar giovani in educazione nel monastero. L’invito papale non ebbe alcun successo in Calabria mentre venne raccolto, nel 1883, da un gruppo di giovani oriundi delle comunità italo-albanesi di Sicilia, che furono senz’altro ammessi nell’educandato di Grottaferrata, erano: Sofronio Gassisi, Cosma Buccola da Contessa Entellina; Basilio Norcia, Efrem Leggio, Flaviano La Piana, Nilo Borgia, Gregorio Stassi da Piana degli Albanesi. Nel 1893, un altro contessioto, Lorenzo Tardo, partì per Grottaferrata. Con questo gruppetto di giovanissimi alunni l’educandato di Grottaferrata si trasformò a partire dal 1884, in seminario monastico.
ArchGrottaferrata.jpgTutti questi giovani abbracciarono la vita monastica, la prima generazione che sostituì a Grottaferrata la vecchia guardia latina e latinizzante e diventarono notevoli figure di paleografi e liturgisti e principali collaboratori del periodico .Roma e l’oriente. Furono i principali protagonisti della rinascita religiosa e culturale della Badia, voluta dalla Santa Sede con l’intento di ripristinare nel Monastero di Grottaferrata la piena osservanza della tradizione liturgica e monastica bizantina. La presenza nella comunità basiliana di Grottaferrata di membri di origine italoalbanese, quindi la formazione religiosa bizantina, favorì l’obiettivo che la Santa Sede si era proposto per la Badia, realtà monastica orientale alle porte di Roma. Nel 1927 fa il suo ingresso nel Monastero il primo calabrese italo-albanese: Teodoro Minisci. Per la sua distinta saggezza e per le sue doti intellettuali gli furono subito affidati nella Comunità uffici di responsabilità, fu eletto Egumeno della Sinassi Monastica e confermato dalla Santa Sede, quale Archimandrita ed Esarca. Nel 1930 entra nel Monastero Stefano Altimari, a seguire Valerio Altimari, Nilo Somma, Giovanni Tamburi, Basilio Intrieri, Emiliano Fabbricatore, Benedetto Murano.
La Badia così venne ravvivata nelle sue plurisecolari tradizioni liturgiche bizantine, ponendo fine alla crescente tendenza della comunità monastica, orientata nell’800 a forme di pratiche liturgiche latineggianti. Le figure di Sofronio Gassisi, Cosmo Buccola, Lorenzo Tardo, e il loro impegno religioso e culturale vanno inquadrate in questo contesto di ruolo ecumenico che la Santa Sede attribuisce alla .nuova. Badia, poter affidare ai seguaci occidentali di San Basilio il Grande, un ruolo di mediazione e di contatto fra le due Chiese, la Romana e l’orientale Ortodossa. Tutto questo ci fa capire come in seno alla comunità di Grottaferrata così ossigenata dall‘elemento italo-albanese, inizia una nuova fase nel campo degli studi e in quello operativo, espressione del rinnovato quadro interno del monastero, accanto alle altre attività culturali proprie di un monastero italo-greco. E. proprio di questa attività culturale albanese nella Badia Greca di Grottaferrata che occorre soffermarsi anche se brevemente: nel 1904 nono centenario della Badia, ci fu una grande esposizione di arte bizantina che suscitò grande interesse negli studiosi, si pensò allora seriamente alla fondazione di una rivista che servisse di stimolo e di palestra ai monaci, di collegamento con il mondo dei dotti e soprattutto, di valido strumento culturale per quella azione, che oggi chiamiamo ecumenica, di conoscenza e avvicinamento dottrinale tra Oriente e Occidente. Nacque così il periodico .Roma e l’oriente. rivista criptoferratense per l’unione delle Chiese (1910-1921).
Fu in quella sede che, tra importanti lavori di liturgia, innografia, storia, melurgia bizantina, trovarono spazio i primi scritti di interesse storico-religioso albanese delle nuove leve monastiche di Grottaferrata e di altri studiosi.
- Ricordiamo di P. Melezio La Piana, Il catechismo albanese di Luca Matranga (1592). III, 395-411; IV, 23-32, 151-160, 303-314.
- P. Sofronio Gassisi, La missione dei monaci basiliani in Albania. Relazioni e lettere. V, 97-117, 150-166; VI, 209231.
- Contributo alla storia di rito greco in Italia. VIII, 272-285
- La diocesi greco-albanesi di Calabria. XVII, 26-28 Nilo Borgia,
- La questione religiosa in Albania. VI, 199-208
- L’Albania proclamata indipendente e la Chiesa Cattolica. XIII, 81-88
- Seminario greco-albanese nella Badia di Grottaferrata. XVI, 6-12
Cessata la pubblicazione del Roma e l’oriente, non venne meno l’interessamento per tutto ciò che riguardava l’Albania e gli italoalbanesi, sia per la presenza nel monastero del Seminario Italo-albanese “Benedetto XV”, sia per i rapporti più stretti con le due Eparchie di Lungro e di Piana degli Albanesi, e in seguito per l’azione diretta dei monaci in Albania. Dopo alcuni anni (1929) si iniziò la pubblicazione
del Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata, mensile a carattere divulgati pochi articoli di monaci, espressione della non interrotta attività culturale in campo albanese.
P. Bartolomeo Di Salvo, La tradizione musicale bizantina delle colonie italo-albanesi di Sicilia e quella dei codici antichi. VI, 3-26
P. Teodoro Minisci, I Monaci basiliani in Sicilia e in Albania. XI, 73-89.
I rapporti degli Albanesi di Calabria con i Monaci basiliani. XIV, 45-54
P. Marco Petta, Appunti di bibliografia albanese IX, 27-42
Tre codici superstiti nel monastero di Mezzoiuso, XIII, 3-28
E, inoltre, espressione di attività culturale albanese del monastero di Grottaferrata la collaborazione prestata da qualcuno dei suoi membri a periodici editi da altri. Così P. Nilo Borgia scrisse sulla lingua albanese nella rivista di Lumo Skendo .Diturija. (1927), in .Studi albanesi. (1931) e in ‘accademie e Biblioteche d’italia. (1940). Così anche Teodoro Minisci scrisse nella rivista del prof. Ernesto Koliqi .Shejzat.
Non a scopo scientifico, ma di utilità pratica P. Lorenzo Tardo pubblicava il libretto Tufë uratash, composto da preghiere e canti sacri e dai primi elementi del catechismo, il tutto in lingua albanese.
Il nome di P. Lorenzo Tardo ci porta a considerare un altro aspetto dell’attività culturale albanese nel monastero di Grottaferrata, quella cioè della musica. La presenza dei monaci italo-albanesi nella Badia produsse, tra l’altro, anche l’inserimento nelle funzioni sacre dei loro canti liturgici tradizionali. L’uso di questi ne provocò lo studio. E le conclusioni sono esposte dal P. Lorenzo Tardo nel volume L’antica Melurgia Bizantina nell’interpretazionedella Scuola Monastica di Grottaferrata, Grottaferrata 1938, dedicato ai canti liturgici delle colonie greco albanesi di Sicilia, preziosi per lo studio della ricostruzione dell’antica melurgia bizantina. L’opera rimane dopo 70 anni .l’unico manuale sulla musica bizantina in lingua italiana . (prof. Sandra Mortani) Prima di P. Tardo, un altro monaco, P. Gregorio Stassi, aveva diligentemente e pazientemente trascritto dalla viva voce dei papàs, specialmente dell’arciprete Alessi di Palazzo Adriano e del parroco Figlia di Palermo, quasi tutti i canti tradizionali di Sicilia. Manoscritto tanto più prezioso, in quanto alcune di quelle melodie non sono più cantate dalle giovani generazioni. Infine dobbiamo segnalare in campo musicale gli studi di P. Bartolomeo Di Salvo, il quale ha esteso le sue indagini alle comunità greco-albanesi di Calabria, registrandone le melodie e purtroppo mai pubblicate.

Conclusione
La Santa Sede ha voluto ripristinare nella Badia la piena osservanza del rito bizantino-greco, obiettivo pienamente raggiunto grazie alla presenza nella Badia di monaci provenienti da famiglie delle comunità italo-albanesi. Il rito, la liturgia e la storia delle Chiese Orientali furono il campo preferito da questi monaci, che la Divina Provvidenza ha collocato al momento giusto al posto giusto, per il bene della Badia Greca di Grottaferrata, della Chiesa e della Cultura bizantina.

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