Dopo la morte nel 1468 di Giorgio Kastriota, il grande eroe che si meritò da Papa Callisto III gli appellativi di Atleta di Cristo e Difensore della Fede, popolazioni della Morea, nelPeloponneso, dell’Epiro, della Tessaglia e da varie regioni e città dei Balcani, come Corone, Modone, Nauplia,incalzate dai turchi e costrette ad emigrare, trovarono un asilo sicuro anche in Sicilia, dove già si stava per spegnere il rito greco alimentato ormai solamente dai monasteri basiliani dell’isola.
.
Dopo la morte nel 1468 di Giorgio Kastriota, il grande eroe che si meritò da Papa Callisto III gli appellativi di Atleta di Cristo e Difensore della Fede, popolazioni della Morea, nelPeloponneso, dell’Epiro, della Tessaglia e da varie regioni e città dei Balcani, come Corone, Modone, Nauplia,incalzate dai turchi e costrette ad emigrare, trovarono un asilo sicuro anche in Sicilia, dove già si stava per spegnere il rito greco alimentato ormai solamente dai monasteri basiliani dell’isola.

 

In questa terra sicula, che aveva resistito all’eresia e allo scisma, quelle popolazioni portarono assieme alle loro icone, il venerando rito bizantino, la loro fede integra ed incontaminata in Gesù Cristo, gelosamente conservata, e la ferma volontà di tramandarla ai loro posteri sotto la guida del successore di San Pietro, il Pontefice Romano, alla cui obbedienza, anche per l’ap-partenenza territoriale delle loro terre d’origine, mai erano venuti meno. 

Così la Provvidenza disponeva che il rito bizantino ritornasse a fiorire in Sicilia e che la mezzaluna turca conquistasse solamente delle province, non popolazioni fiere della loro fede profondamente cristiana, per la cui difesa avevano compiuti immensi sacrifici.

Ancora prima del 1448, quando venne in Italia il primo gruppo compatto, guidato da Demetrio Reres, alla spicciolata vi si erano stabiliti nuclei di soldati con le loro famiglie. Un secondo gruppo venne in Italia nel 1461, sotto la guida di Skanderbeg, accorso in aiuto di Ferdinando I d’Aragona, in lotta contro i baroni del suo regno e contro Giovanni d’Angiò. Quei soldati albanesi passarono quindi al servizio di vari Stati italiani, principalmente del re di Napoli, formando con loro elementi il reggimento napoletano “Real Macedone”. Ma le emigrazioni massicce avvennero qualche tempo dopo la morte dello Skanderbeg, negli anni 1468, 1478, 1482 e 1491. Altra importante emigrazione si registra nel 1534, dopo la caduta di Corone e di altre città del Peloponneso. Per l’esodo di questi profughi — detti coronei — venne apprestato da Carlo V un imponente naviglio. Tutti gli esuli si diressero principalmente verso l'Italia meridionale e la Sicilia.

I profughi, in terra italiana, accolti con molto favore, specialmente dai re di Napoli, ai quali li legavano precedenti rapporti di amicizia, fondarono nuovi villaggi o si accomodarono presso località abbandonate, grazie anche alle larghe concessioni dei baroni, proprietari delle contrade. A queste nuove dimore, con il loro alacre lavoro, diedero una particolare fisionomia, non mancando di applicare assai spesso toponimi che richiamavano le loro terre d’origine.

Dando oggi uno sguardo retrospettivo alla attività cinque volte secolare di queste popolazioni, vediamo come essa è costantemente indirizzata su una duplice base: fedeltà a Roma, fedeltà alla tradizione bizantino-greca.

I suoi esponenti si sono formati prevalentemente in istituti ecclesiastici; le loro fucine sono state il Collegio Greco di Roma, l’Istituto Andrea Reres di Mezzojuso, il Seminario greco-albanese di Palermo. Primo fra coloro che autorevolmente difesero la posizione degli italo-albanesi è il Servo di Dio, Padre Giorgio Guzzetta (1682-1756), da Piana dei Greci, il quale, precorrendo i tempi, si dimostrò di una eccezionale apertura ecumenica.

Ben comprendendo che la situazione della vicina penisola balcanica aveva il suo fulcro, con la vasta gamma dei suoi più disparati aspetti, nella questione religiosa, si dedicò con passione e con dottrina ad un riaccostamento fra cattolici ed ortodossi. Con questi ultimi coltivò fraterne relazioni, sperando nel contempo di potere accrescere quelle mai interrotte con la Gerarchia orientale delle diocesi d’origine degli italo-albanesi, con la quale sempre erano intercorsi normali rapporti di dipendenza rituale; infatti negli anni 1581, 1614, 1644, l’Arcivescovo di Ochrida ed esarca della Macedonia, Gabriele, e il vescovo di Metone, Neofito, erano venuti in Calabria e in Sicilia a conferire gli ordini sacri al clero dei Comuni italo-albanesi. Tale gerarchiaera rappre-sentata, in due importanti sedi, da suoi concittadini: Monsignor Basilio Matranga, Arcivescovo di Ochrida, e Monsignor Giuseppe Schirò, Arcivescovo di Durazzo, che vi si erano recati con la missione in Chimara degli italo-albanesi.

Padre Guzzetta potè vedere coronati i suoi lunghi anni di lavoro e di sacrificio con la fondazione nel 1734 del Seminario greco-albanese di Palermo. Con questa opera egli pose le fondamenta per assicurare alle comunità dei siculo-albanesi un clero ben formato spiritualmente e ben preparato a potere riprende, in un domani non lontano, l’attività che così lodevolmente aveva fino allora svolto nella Chimara.

L’opera del Servo di Dio, Padre Giorgio Guzzetta, fu grande e benefica: per oltre due secoli, il Seminario si è rivelato focolare vivo di pietà religiosa, di scienza, di educazione, di cultura; fucina di uomini insigni per santità e per dottrina, di sacerdoti dotti e pii, di vescovi, che hanno tenuto sempre viva la finalità missionaria riassunta nelle incisive parole scolpite nel monumento erettogli nell’edificio del Seminario da Lui fondato in Palermo “ad Graecam Sanctae Romanae Ecclesiae conciliandam”.

Tuttavia ilGuzzetta non potè assistere all’istituzione di un vescovato greco per la Sicilia, da lui tanto caldeggiata, che avvenne solo il 6 febbraio 1784, con la Bolla “Commissa Nobis” di Papa Pio VI, e che si rivelò non solo un argine, che valse a salvare la totale scomparsa delle tradizioni degli italo-albanesi, ma addirittura l’inizio di una rifioritura di queste tradizioni e del rito greco, là dove si era riusciti a salvarli dalla bufera devastatrice.

La serie di questi vescovi ordinanti di rito greco in Sicilia, con la investitura di abati di Santa Maria de Gala, si apre con Monsignor Giorgio Stassi, Vescovo titolare di Lampsaco, da Piana dei Greci, (1785-1801); lo seguirono:

- Monsignor Giuseppe Guzzetta, Vescovo titolare di Lampsaco, da Piana dei Greci, (1801-1813);
- Monsignor Francesco Chiarchiaro, Vescovo titolare di Lampsaco, da Palazzo Adriano, (1813-1834);
- Monsignor Giuseppe Crispi, Vescovo titolare di Lampsaco, da Palazzo Adriano, (1835-1859);
- Monsignor Agostino Franco, Vescovo titolare di Ermopoli, da Mezzojuso, (1860-1877);
- Monsignor Giuseppe Masi, Vescovo titolare di Tempe, da Mezzojuso, (1878-1903);
- Monsignor Paolo Schirò, Vescovo titolare di Benda, da Piana dei Greci, consacrato nel 1904

Frattanto, anche nelle alte sfere ecclesiastiche, l’irrigidimento man mano aveva dato posto ad una più saggia ed aperta considerazione dei riti e delle comunità orientali. Nel 1867 era stato abbandonato da Pio IX il principio della preminenza del rito latino sugli altri riti; Leone XIII e i papi successivi compirono altri passi distensivi.

Maturati i tempi, si arrivò nel 1919, con Benedetto XV, all’erezione della Diocesi di rito bizantino di Lungro (Cosenza), che, mentre segnò per gli italo-albanesi che vi vennero inclusi una tappa importante per una ripresa oltre che rituale anche delle tradizioni albanesi, costituì senza dubbio il primo passo che preludeva ad una analoga soluzione per gli albanesi di Sicilia.

Per varie cause, questa venne realizzata più tardi con l’intervento del Card. Luigi Lavitrano, Arciv. di Palermo, sotto la cui illuminata guida, gli albanesi di Sicilia già nel 1929 facevano sorgere un Circolo per l’Oriente Cristiano, diventato poi, nel 1931, l’Associazione Cattolica Italiana per l’Oriente Cristiano (A.C.I.O.C.), come pronta adesione all’appello dell’enciclica “Rerum Orientalium” di papa Pio XI.

Questa Associazione, a carattere nazionale, riuscì a suscitare nelle varie regioni dell'Italia un entusiasmo veramente apo-stolico attraverso le “Settimane di preghiere e di studi per l’Oriente Cristiano”, celebrate dal 1930 in poi in importanti città italianequali Palermo, Siracusa, Venezia, Bari, Firenze, Milano, e nuovamente a Palermo nel 1957 e a Napoli nel 1961.

L’A.C.I.O.C. ha promosso nei Seminari attraverso la Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studil’insegnamento delle discipline orientali e, in seguito, l’istituzione nei Seminari della giornata “pro Oriente Christiano”; inoltre ha organizzato convegni ed incontri di studio che hanno interessato i fedeli italiani e li hanno condotti ad una più profonda conoscenza dell’Oriente Cristiano, della sua storia, dei suoi riti, del suo pensiero e della sua attuale posizione di fronte alla Chiesa di Roma, in modo da preparare un clima di mutua conoscenza e di viva comprensione fra cattolici e ortodossi.

Con la Bolla “Apostolica Sedes” del 26 ottobre 1937 Papa Pio XI istituiva la Eparchia di Piana dei Greci per i fedeli di rito bizantino greco della Sicilia, riconosciuta poi anche civilmente dallo Stato italiano il 2 maggio 1939. Piana dei Greci diveniva così sede di Diocesi e la sua chiesa di San Demetrio era elevata a dignità di cattedrale.

A questa nuova Eparchia vennero assegnati oltre ai Comuni di Piana dei Greci e di Santa Cristina Gela, che vennero staccati rispettivamente dalle arcidiocesi di Monreale e di Palermo, la parrocchia e i fedeli di rito greco del Comune di Mezzojuso, tolti alla giurisdizione dell’arcidiocesi di Palermo, le parrocchie e i fedeli di rito greco dei Comuni di Contessa Entellina e di Palazzo Adriano, staccati dall’arcidiocesi di Monreale, ed infine, staccata dall’Arcidiocesi di Palermo, la chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio di Palermo, detta della “Martorana”, che veniva elevata a dignità di Concattedrale. Essa nel 1943 diveniva anche sede della parrocchia palermitana San Nicolò dei Greci, a cui sono assegnati, con giurisdizione personale, tutti i numerosi fedeli di rito greco residenti in Palermo

Alla nuova Eparchia, non venivano assegnati i Comuni di origine albanese di Sant'Angelo Muxaro della provincia di Agrigento, Biancavilla e San Michele di Ganzaria della provincia di Catania, principalmente perchè il rito greco vi era scomparso da qualche tempo.

Il Cardinale Luigi Lavitrano, Arcivescivo di Palermo, che tanto si era battuto per la creazione della nuova Diocesi, diveniva anche Amministratore Apostolico di Piana dei Greci, mentre Mons. Giuseppe Perniciaro, eletto Vescovo di rito greco nella stessa data dell’erezione dell’Eparchia e consacrato il 16 gennaio 1938, veniva scelto come Ausiliare e Vicario Generale del Card. Lavitrano per la nuova Eparchia bizantina.

Nasceva così in Sicilia questa nuova diocesi di rito bizantino greco, la quale, solo recentemente, rimuovendo con costante fiducia difficoltà di ogni genere, ha potuto raggiungere il suo completo e logico assetto definitivo.

Tuttavia un lavoro profondo per l’organizzazione della nuova Eparchia, per il ristabilimento della purezza del rito, per il decoro delle chiese e delle sacre cerimonie ebbe inizio già subito dopo la creazione dell’Eparchia.

Dal 13 al 16 ottobre 1940, voluto e preparato principalmente da esponenti della Eparchia di Piana dei Greci, si teneva a Grottaferrata (Roma) un Sinodo intereparchiale cui prendeva parte, unitamente all’Abbatia nullius di Grottaferrata, anche l’altra Eparchia bizantina d’Italia: Lungro (Cosenza). Per la prima volta dopo tanti secoli vi intervenne una Delegazione ufficiale della Chiesa ortodossa autocefala d’Albania, i cui membri, in qualità di osservatori, tennero ad esternare la loro piena soddisfazione e le loro felicitazioni per l’ottima impres-sione riportata.

In detto Sinodo vennero gettate le basi per un’azione di rinnovamento in seno alle diocesi bizantine d’Italia e per la realizzazione di un programma a favore dell’Oriente cristiano.

La guerra mondiale del 1940-45 purtroppo paralizzava anche la vita di queste diocesi e bloccava ogni loro iniziativa anche in campo ecumenico.

Intanto, con Decreto della Sacra Congregazione per le Chiese orientali del 25 ottobre 1941 veniva cambiata anche ecclesiasticamente la denominazione dell’Eparchia, dopo che civilmente, un anno prima, per motivi contingenti di politica era stato mutato nome al centro diocesi. Da allora, Piana dei Greci (Planen Graecorum) si chiamerà anche ecclesiasticamente Piana degli Albanesi (Planen Albanensium).

Sempre con Decreto della Sacra Congregazione per le Chiese orientali del 14 dicembre 1942 veniva eretto il Capitolo Cattedrale e il 14 marzo 1945 se ne otteneva il riconoscimento civile.

I1 19 gennaio 1943, il Comune di Piana degli Albanesi cedeva all’Eparchia l’ex convento diruto degli Agostiniani riformati, sito accanto alla chiesa di S. Nicola di Piana degli Albanesi e si dava inizio ai lavori di costruzione dell’Episcopio e del Seminario. A causa delle difficoltà economiche, detti lavori andarono a rilento; solamente il 12 novembre 1950 il nuovo edificio poteva ospitare il Vescovo ausiliare, la Curia vescovile e il Seminario della nuova Eparchia, trasferitovi dai vecchi locali di Palermo.

Nel frattempo il Cardinal Lavitrano, trasferitosi a Roma e nominato Prefetto della S. Congregazione dei Religiosi, dopo che aveva lasciato il governo dell’arcidiocesi di Palermo nel 1945, rinunziava in data 20 dicembre 1946 anche alla carica di Amministratore Apostolico di Piana degli Albanesi.

In data 3 gennaio 1947 ancora un altro Amministratore Apostolico succedeva al Card. Lavitrano per Piana degli Albanesi: il Cardinal Ernesto Ruffini, il quale già dall’11 ottobre 1945 era stato nominato Arcivescovo di Palermo. Il Vescovo Monsignor Perniciaro veniva chiamato nuovamente alla carica di Vescovo Ausiliare e Vicario Generale del Cardinal Ruffini per Piana degli Albanesi.

Nel 1948, in occasione del 500° anniversario della fondazione delle prime colonie siculo-albanesi, nei locali del Collegio di Maria di Piana degli Albanesi, venne realizzata la “Mostra dei 500 anni”, che documentava l’attività cinque volte centenaria dei profughi della penisola balcanica in terra di Sicilia. Altra mostra, questa volta oltre che di folklore, specificatamente di “arte sacra bizantina” venne apprestata, quasi dieci anni più tardi, nei locali del nuovo Seminario di Piana degli Albanesi e nell’annessa chiesa di San Nicola, a conclusione della VII Settimana di preghiere e di studi per l’Oriente cristiano, celebrata a Palermo nel settembre 1957.

Un vero fervore di opere, grazie anche agli interventi dello Stato a favore degli edifici danneggiati dalla guerra, si ebbe nel periodo 1948-1960: le chiese dell’Eparchia ne usufruirono largamente; molte di esse, oltre ad essere riattivate, perché da decenni prive talvolta di una qualsiasi manutenzione, vennero anche abbellite. Nello stesso tempo veniva incrementata l’azione di formazione dei fedeli, grazie anche alle benemerite istituzioni femminili di rito greco esistenti nell’Eparchia.

Le Suore basiliane, Figlie di Santa Macrina, fondate a Mezzojuso nel 1921, che hanno una ventina di Case religiose, sparse in tutti i Comuni dell’Eparchia di Piana degli Albanesi e in molti altri dell’Eparchia di Lungro, si occupano degli asili per l’infanzia, della formazione della gioventù femminile e dell’assistenza ai vecchi. Con gli stessi scopi lavorano a Piana degli Albanesi anche le Suore Collegineche, per desiderio del fondatore, P. A. Brancato, incoraggiato ed aiutato dal P. Giorgio Guzzetta, seguono il rito bizantino dal 1731.

I monaci basiliani, che nella maggioranza provengono da famiglie italo-albanesi, sono presenti nell’Eparchia di Piana nell'Istituto SS. Salvatore a Piana degli Albanesi.

Per quanto riguarda l’albanese parlato nei Comuni italo-albanesi, il Centro di studi albanesi, sorto in Palermo nel 1948, intende con varie iniziative favorirne la conservazione. A favore degli insegnanti alloglotti, il Governo italiano ha adottato recentemente dei provvedimenti, dopo i quali si promette di farne seguire altri più concreti.

Assieme alla lingua albanese sono di richiamo particolare i costumi tradizionali femminili, ric-camente ricamati, di Piana degli Albanesi. Essi vengono indossati in particolari feste di famiglia, come matrimoni e battesimi, e in alcune solennità dell’anno liturgico bizantino, specialmente in occasione dell’Epifania e della Settimana Santa, detta in albanese “Java e madhe” (la Grande Settimana).

La domenica di Pasqua, poi, a Piana degli Albanesi viene resa veramente indimenticabile dal fantasmagorico sfoggio di colori dei ricchissimi e smaglianti costumi tradizionali, che danno un tono particolarmente lieto alla festività, nonché dal tripudio di voci con cui si esalta la resurrezione di Cristo al canto del “ Christòs anésti” (Cristo è risorto).

I costumi e i canti tradizionali, la lingua, gli usi e le consuetudini, il rito bizantino, il folklore, in una parola tutta la tradizione degli italo-albanesi rappresenta la continuità storica di una tradizione mai interrotta che si ricollega ai tempi dello Skanderbeg, all’epoca, cioè, in cui gli italo-albanesi andavano fieri per il prestigio goduto in tutta Europa a motivo della loro invitta fede cristiana, del loro attaccamento al rito bizantino e al patrimonio culturale delle loro terre d’origine, del loro entusiasmo per le grandi imprese.

In clima di grande entusiasmo veniva anche ripresa l’attività dell’Associazione Cattolica Italiana per l’Oriente Cristiano. Dal 18 al 25 settembre 1957 venne celebrata a Palermo la VII Settimana di preghiere e di studi per l’Oriente Cristiano, il cui discorso inaugurale, che fu poi il programma del suo pontificato, veniva tenuto dall’allora Patriarca di Venezia, il Card. Angelo Giuseppe Roncalli, (che dopo un anno doveva salire sul trono di Pietro col nome di Giovanni XXIII) il quale aveva accolto entusiasticamente l’invito.

Dal 1961 la Associazione Cattolica Italiana per l'Oriente Cristiano (A.C.I.O.C.) inizia a pubblicare una sua rivista “Oriente Cristiano”, alla quale oggi collaborano, oltre ad italo-albanesi, anche personalità e ben noti studiosi cattolici ed ortodossi di problemi orientali.

Intanto contrasti di competenza, causati principalmente dal-l’ibrida giurisdizione religiosa esercitata contemporaneamente in piccoli centri dell’Eparchia da differenti Ordinari avevano creato una situazione che man mano diveniva sempre più chiaramente insostenibile. E' il caso dei Comuni di Mezzojuso, Contessa Entellina e Palazzo Adriano, dove solamente i fedeli di rito greco, comesopra riferito a proposito della Bolla di erezione dell’Eparchia, dipendevano da Piana degli Albanesi, mentre quelli di rito latino rispondevano alle rispettive Diocesi di Palermo e Monreale. In questi Comuni, infatti, i fedeli di rito greco, che avevano lasciato immigrare col tempo l’elemento latino, non si erano mai sognati di formare propri quartieri o di apprestarli per i latini, ma spessissimo greci e latini hanno fatto parte, ancor più oggi, di una medesima famiglia.

La Bolla di Papa Giovanni XXIII “Orientalis Ecclesiae” dell’8 luglio 1960 metteva fine a tali contrasti. In forza di essa, anche le parrocchie di rito latino con il loro territorio, esistenti nei Comuni di origine albanese di Mezzojuso, Contessa Entellina e Palazzo Adriano, passavano sotto la giurisdizione di Piana degli Albanesi.

L’opera del Card. Lavitrano, considerato a giusto titolo fondatore della Eparchia, primo Amministratore Apostolico di essa, veniva così perfezionata da un altro Amministratore Apostolico: il Card. Ruffini, il quale riusciva ad ottenere per Piana degli Albanesi, dalla sensibilità ecumenica di Papa Giovanni XXIII, il sopra citato provvedimento pontificio.

In forza di tale provvedimento, il Card. Ruffini mirò soprattutto al bene della Chiesa e quindi ai riflessi favorevoli che esso avrebbe prodotto nelle relazioni tra la Chiesa cattolica romana e il vicino Oriente ortodosso, ma egli altresì intese appagare le secolari aspirazioni dei siculo-albanesi, essendosi reso perfettamente conto che la loro passata precaria situazione, oltre ad intralciare il regolare funzionamento dell’Eparchia, non poteva permettergli di attendere serenamente alla loro vocazione e missione ecumenica.

Con la morte del Card. Ruffini , avvenuta il giorno 11 giugno 1967, si chiudeva per Piana degli Albanesi la serie degli Amministratori Apostolici. L’Eparchia, acquistando una completa autonomia per la nomina di un suo figlio di rito bizantino, S. E. Mons. Giuseppe Perniciaro, già Vescovo ausiliare dei due Amministratori Apostolici per Piana degli Albanesi, a vescovo residenziale di essa, assumeva la sua più congeniale e genuina fisionomia di Eparchia bizantina

Questa, infatti, non avendo mai abiurato l’Ortodossia — la storia ne è testimone — sente presente lo spirito ortodosso, oggi più che mai vivo. Da qui il desiderio dei suoi figli di ritornare alle tradizioni più antiche e di ulteriore purificazione del rito ma nello stesso tempo il desiderio di aggiornare le tradizioni per meglio rispondere alle esigenze del mondo moderno.

Il documento pontificio di nomina del vescovo Perniciaro porta la data del 12 luglio 1967, ma solo il 24 settembre 1967 il clero e i fedeli dell’Eparchia hanno potuto apprendere la notizia. In quel giorno, Piana degli Albanesi aveva l’onore e la gioia di accogliere entusiasticamente il Card. Francesco Carpino, nuovo Arcivescovo di Palermo, e questi, per mandato della Sacra Congregazione per le Chiese orientali, aveva il piacere di darne l’annunzio nella cattedrale di San Demetrio di Piana degli Albanesi, gremita di clero e di fedeli, convenuti da ogni parrocchia dell’Eparchia.

Si è chiuso così per l’Eparchia di Piana degli Albanesi il suo primo periodo di vita, dal1937 al 1967. Trent’anni di dense pagine di storia: con passione e con sacrificio i suoi figli le hanno scritte giorno per giorno, talvolta non compresi, spesso con trepidazione, sempre con responsabile fiducia cui i fatti hanno dato ragione.

L’Eparchia è oggi una realtà, così come l’hanno sognata, senza poterla vivere, tante generazioni passate di siculo-albanesi; essa è la risultanza della fedele e tenace conservazione etnico-religiosa, innata nell’animo di questa gente, che cinquecento anni di permanenza in Italia non hanno minimamente cancellato.

Essendo perfettamente integrati nel tessuto politico e sociale italiano, i siculo-albanesi si trovano attivamente presenti a tutti i livelli e in tutti i settori della vita nazionale; in campo religioso, assieme ai loro fratelli dell’Eparchia di Lungro e della Comunità monastica dei Basiliani di Grottaferrata, consci della loro peculiare situazione e della loro vocazione ecumenica, presentano in seno alla Conferenza episcopale italiana, una caratteristica particolarissima.

Le tre circoscrizioni ecclesiastiche di Piana degli Albanesi, di Lungro e di Grottaferrata, infatti, sono testimonianza e costituiscono la continuazione della presenza della Chiesa greca in Italia dalla occupazione bizantina (secolo VI) ad oggi, segno di un vitale pluralismo e di una possibile comprensione tra greci e latini.

In occasione delle celebrazioni in onore di Skanderbeg, promosse dall’Eparchia di Piana degli Albanesi e dalle altre due circoscrizioni bizantine d’Italia e culminate nelle giornate romane del 23-26 aprile 1968, Papa Paolo VI ha voluto sottolineare quest’aspetto, dicendo che tra gli italo-albanesi “quelli che conservano anche il rito orientale, lo fecero obbedendo ad un sapiente disegno della Provvidenza, perché fossero testimonianza ininterrotta della cattolicità della Chiesa e, vivendo in mezzo a popolazioni latine, facessero conoscere ed amare riti e tradizioni molteplici di cui si ammanta la stessa unica Chiesa di Cristo”. “ E noi nutriamo fiducia — aggiungeva il Papa — per un più efficace inserimento di queste Chiese locali orientali nello spirito, e nell’azione ecumenica che anima e muove tutta la cristianità ”.

Sempre Papa Paolo VI, ricevendo in udienza il 25 aprile 1968 circa 2.500 italo-albanesi e rivolgendo loro un vibrato discorso, dava un alto riconoscimento alla passata attività missionaria degli stessi: “Se la storia vi ha visti oppressi e dispersi, la bontà di Dio ha fatto che voi, con tutti i membri del vostro “gjaku i shprishur”, con la fervida attività innata e con la comprensione acquisita, vi rendeste dovunque tramite di alleanze e di collaborazioni, che spesso vi hanno reso anticipatori del moderno ecumenismo”.

Assai significative queste parole del discorso del Papa. Esse hanno riferimenti ben precisi all’attività dell’Associazione Cattolica Italiana per l’Oriente Cristiano, espressione dello spirito autenticamente ecumenico delle circoscrizioni ecclesiastiche bizantine degli italo-albanesi, ma nello stesso tempo queste auguste parole del Papa suonano per la Eparchia di Piana degli Albanesi d’incoraggiamento e di augurio di un sempre più fecondo apostolato per le nuove pagine di storia che per essa si aprono.

Ka sënduqi...

Multimedia

ATTUALITÀ

Giovedì, Novembre 18, 2004 Luigi Boccia Chiesa e Religione 7382
Discorso pronunciato da S.E. il Card. Camillo...
Lunedì, Gennaio 23, 2006 Luigi Boccia Chiesa e Religione 11266
Secondo la tradizione, i territori dell’attuale...

LA LINGUA - GJUHA JONE

Domenica, Novembre 13, 2005 Luigi Boccia Grammatica 23952
Pagina in allestimento Seleziona la lettera dal menù qui accanto ==> .
Martedì, Marzo 07, 2006 Pietro Di Marco Aspetti generali 11008
E ardhmja e natës agimi. Ti e prite. E ardhmja e agimit dita e plotë. Ti e rrove. E ardhmja e ditës mbrëmja. Ti u krodhe në të. E ardhmja e mbrëmjes...